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giovedì, giugno 30, 2011


ISERNIA/ L'auditorium degli sprechi resterà incompleto: bruciati 55 milioni di euro
 



E' una delle opere avviate nel 2007 tra i "lavori urgenti" per l'Unità d'Italia dalla Protezione civile: 35mila metri quadri per 20mila abitanti. E in mano alle stesse persone coinvolte nello scandalo degli appalti. Intanto 31 milioni sono stati già spesi...


di Antonello Caporale - Repubblica.it


Tra le opere pubbliche finanziate per le celebrazioni dell'Unità d'Italia, c'è un monumento allo spreco: è l'Auditorium di Isernia. La struttura doveva costare - secondo un appalto bandito nel 2005 dall'amministrazione locale - cinque milioni di euro. Invece, i costi sono lievitati incredibilmente fino ad arrivare a 55 milioni di euro. Per lo stesso, identico, progetto. Una montagna di soldi per realizzare un complesso faraonico: 35 mila metri quadrati coperti (l'ex stadio comunale) con quasi tremila posti a sedere tra cinema, anfiteatro e sala principale. Tutto per una cittadina di appena ventimila abitanti. 
E quest'opera non sarà nemmeno completata, rimarrà incompiuta. Lo Stato ha già speso 31 milioni di euro e non ha più risorse per questa voce di bilancio. Specie da quando è scoppiato lo scandalo degli appalti che ha travolto il dipartimento delle Opere Pubbliche del Ministero e la Protezione Civile: tra G8, mondiali di nuoto e (appunto) i lavori per l'unità d'Italia. Già, perché l'Auditorium di Isernia il balzo clamoroso nei conti dello Stato  -  da una spesa di 5 milioni a 55 milioni di euro  -  lo ha fatto in un momento preciso: quando l'opera è stata inserita (nel 2007) nell'elenco dei lavori "urgenti" per le celebrazioni dell'Unità d'Italia, ovvero nei cantieri dei "grandi eventi", curati direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso ordinanze di Protezione Civile. 
E' stata gestita, quindi - come le altre - senza rispettare il codice degli appalti pubblici, seguendo invece la regola della "emergenza". A prendersi "cura" del cantiere molisano è Fabio De Santis, nominato, all'epoca, responsabile unico del procedimento su incarico del Governo. Lo stesso Fabio De Santis poi travolto  -  appunto - dallo scandalo del G8, che ha visto coinvolti anche altri "attori" presenti sempre nella vicenda dell'Auditorium faraonico. Scorrendo gli altri nomi responsabili di questa mastodontica opera pubblica c'è anche Mauro Della Giovampaola, coordinatore dei lavori dell'Auditorium (anche lui arrestato per gli appalti della protezione civile). Accanto al suo, c'è anche il nome di Riccardo Micciché, anche lui finito nello stesso scandalo. Scrivono di quest'ultimo i Ros di Firenze per la vicenda G8: "il fratello di Riccardo Micciché, Fabrizio, è responsabile tecnico della ditta "Giusylenia srl", impresa sotto il controllo di esponenti della Cosa nostra agrigentina, accusata di aver favorito la latitanza di Giovanni Brusca e dunque sotto il tallone di Bernardo Provenzano".

 



E non è tutto. A Isernia, ad inaugurare l'opera in occasione del centocinquantesimo anno dall'unità d'Italia sarebbe dovuto arrivare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma non andrà così. Sarà completato solo il primo lotto "entro dicembre" promette Nicola Barone, responsabile tecnico della struttura ministeriale incaricata dal Governo. Barone è arrivato dopo lo scandalo alla Ferratella e si è ritrovato a gestire quella che lui stesso chiama "una patata bollente". "L'unica opera collegata alle celebrazioni dell'unità d'Italia che non riusciremo a terminare è proprio l'Auditorium di Isernia. Abbiamo ereditato una situazione difficile, complessa... Il Governo ha già stanziato 30 milioni di euro e al momento non ha altre disponibilità. I soldi non ci sono. Senza l'aiuto degli enti locali che ancora non impegnano le loro risorse ci dobbiamo fermare. Però completeremo almeno la sala dell'Auditorium per consentire una parziale fruizione della struttura che sarà aperta a dicembre. Sistemeremo anche la facciata. Il resto, il secondo blocco, i negozi, il cinema, l'anfiteatro, la galleria... Si dovranno aspettare tempi migliori".
 



All'obiezione dei costi  -  per lo tesso progetto - passati da cinque a cinquantasei milioni di euro, Barone è perentorio. "Ciò attiene a ciò che è successo prima del nostro arrivo  -  dice  -  quindi non posso risponderle. Sono a conoscenza di un bando comunale, un concorso per la progettazione che prevedeva che l'opera costasse cinque milioni... Quello che so è che poi lo stesso Comune ha attivato i primi rincari...". Solo alla Ferratella, negli uffici del ministero, però il costo dell'Auditorium ha toccato quota 55 milioni. "Si può invece legittimamente dire che l'opera è eccessiva per un piccolo comune come Isernia  -  spiega Barone  -  ma queste sono scelte politiche.... C'è una commissione che ha valutato i progetti... Presidenza del Consiglio, Quirinale... Noi abbiamo provveduto cercando di chiudere il lotto dei lavori aperto e ridurre al minimo le spese". E l'anniversario dell'unità d'Italia si chiuderà a dicembre con la celebrazione (e inaugurazione) di un monumento allo spreco di denaro pubblico. Nuovo di zecca.
 



 
 

mercoledì, giugno 29, 2011


Contro la paura e la reticenza:
il caso Mignogna diventa simbolo



Partecipazione e coinvolgimento alla manifestazione di solidarietà per il giornalista Michele Mignogna, minacciato diverse volte, organizzata dall’associazione Libera a Larino, in piazza. Tra bandiere , giovani e donne che hanno letto articoli su inchieste che documentano interessi e intrecci illegali, il Molise ha mostrato la sua faccia pulita, quella che respinge il ritornello dell’isola felice e chiede controllo del territorio e legalità














 

 

 

 


Larino.Esattamente due settimane fa Michele Mignogna, giornalista di Larino autore di inchieste fra le più scottanti e delicate della storia recente basso molisana, collaboratore di Primonumero.it e di Tlt Molise, ha trovato un sacchetto di plastica blu sulla scala esterna dell’ingresso della sua abitazione. Dentro una scoperta macabra: una testa di capretto sanguinolenta e un biglietto di cartoncino con una frase - scritta in stampatello a matita - dai toni offensivi, indirizzata a lui.
 



E’ l’ultimo di una serie di episodi ai danni del cronista, sul cui cellulare sono arrivate minacce esplicite da ignoti (in corso le indagini) e la cui auto era stata già presa di mira con il taglio di tutti e quattro gli pneumatici. Chiari, inequivocabili tentativi di intimidirlo, di chiudergli la bocca e farlo spaventare per evitare che indaghi, che porti alla luce intrecci di malaffare in un territorio, come il basso Molise, ormai ben lontano da quell’idea di “oasi felice” che certa classe politica continua a propinare come un ritornello stantio e anacronistico.
 



Decine e decine di messaggio di solidarietà, incitamenti ad andare avanti nella consapevolezza che non si è soli nella battaglia per la verità, sono arrivati a Michele Mignogna, che come ha ribadito con uno dei suoi sorrisi migliori, non arretra di un millimetro rispetto al dovere di raccontare quello che vede e che verifica, «carte alla mano».
 



«Non siamo eroi, siamo persone che credono in questo lavoro e che non indagano per rompere le scatole a qualcuno, ma per cercare la verità e migliorare la nostra terra»: Michele ha sintetizzato con parole semplici e per questo ancora più efficaci il tanto dibattuto concetto di “libertà di stampa”. Davanti a una piazza gremita, fatta di molti giovani, donne del mondo delle associazioni, movimenti e esponenti politici che hanno voluto farsi vedere per ricordare che quello delle minacce a un giornalista scomodo è un tema che tocca tutti, una comunità intera e una regione.
 


L’iniziativa è stata organizzata da Libera, l’associazione impegnata in prima linea contro le mafie nata anche in Basso Molise sulla scia di quei territori dove le infiltrazioni malavitose sono realtà assodate e ogni giorno, a fatica e con immensi sacrifici, si combatte contro la tentazione dell’omertà e la paura che chiude le bocche e i cuori. La manifestazione di solidarietà per il giornalista è diventata occasione per riflettere, a voce alta e senza timori, sui rischi che corre la nostra regione, sulla sua appetibilità – dimostrata dalla cronaca – per le ecomafie che gestiscono il lucroso business dei rifiuti avvelenati, per il malaffare che mette le mani sulla sanità, per le speculazioni che soffocano la natura e la giustizia sociale.


All’introduzione ha fatto seguito la lettura di alcuni articoli che Mignogna ha scritto per Primonumero.it, in primis l’ormai famosissima inchiesta sul traffico di liquami al depuratore del Nucleo Industriale, che ha anticipato i risultati di una indagine giudiziaria che ha portato in carcere l’ex presidente del Cosib Del Torto e indagato numerosi personaggi da novanta della scena politica, fra cui lo stesso presidente della Regione Michele Iorio.
Bandiere della società civile, qualche sigla politica, ma soprattutto volti pieni di interesse e voglia di affrontare di petto, con le parole e l’impegno quotidiano ognuno nel suo piccolo, l’attuale situazione che vede il “tranquillo” Molise minacciato e in parte già aggredito da interessi mafiosi. Col rischio, come è stato ricordato nel corso degli interventi, che a farne le spese sia anche la mentalità generale, che in questa «terra di confine in cui non si spara ma la mafia è presente lo stesso», per citare alcune parole del magistrato Cantone lette durante l’incontro, corre il pericolo di diventare omertosa e sempre più passiva.

Così il caso di Michele Mignogna, che ha profondamente sconcertato l’opinione pubblica, è diventato simbolo di libertà e legalità. Una scossa per ricordare a una comunità incredula davanti a un messaggio intimidatorio di chiara matrice mafiosa che è necessario, ora più che mai, difendere il valore della verità e non soccombere alla paura. Con il cronista anche la moglie Gina, alla quale è andato il pensiero dei presenti per il clima di timore che in questo momento sta condizionando una famiglia normalissima, e l’auspicio che le minacce si arrestino e i colpevoli vengano individuati.
Fonte: Primonumero



 



lunedì, giugno 27, 2011

DA UNA VECCHIA INTERVISTA


OPEN GATE
intervista a Michele Mignogna “la lobby di Dio? Il cancro del (basso) Molise



Un’intervista al vetriolo, quella realizzata con Michele Mignogna. “Dai registri di scarico del Cosib spunta fuori Masseria del Re, discarica in parte controllata da Francesco Schiavone detto Sandokan. “L’ingegnere Del Torto, militante dispicco di CL, è imparentato con Formigoni, presidente della Lombardia nonchèuno dei massimi esponenti di Comunione Liberazione.” E chi parla viene minacciato. Cosa diavolo succede in (basso)Molise?


di Andrea Succi

 Chi è Michele Mignogna?Presto detto: uno dei migliori giornalisti d’inchiesta molisani, se non il migliore. Il classico rompicoglioni che mette forte prurito al potere. Un ficcanaso che proprio non riesce a fare a meno di svolgere bene il proprio lavoro. E che, in questaintervista senza censura (per usare un eufemismo) racconta non solo i particolari dell’Operazione “Open Gates” ma ne svela i retroscena.


Ecco spuntare allora la “Lobby di Dio”, Comunione Liberazione, e il suo braccio economico, la Compagnia delle Opere, che in (basso)Molise, fanno il bello e il cattivo tempo; un sistema para-massonico che si autoalimenta; un’area grigia in cui il malaffare è opera di burocrati, politici, imprenditori e – perché no – esponenti dellacriminalità organizzata. Racconta tutto il marcio di “Open Gates”, l’operazione giudiziaria che si è abbattuta sul bassomolise come un terremoto. Non la smette di raccontare, perché è questo il bello del suo mestiere, perché l’onestà non ha prezzo e una persona onesta trova sempre e comunque le parole per denunciare.
  
Open Gates: di cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando di una consorteria che mischia politica, burocrazia e imprenditoria con lo scopo di fare danaro sulla pelle dei cittadini utilizzando i rifiuti. È operazione fatta dalla Procura di Larino con l’ausilio dei Noe,  che ha portato alle misure restrittive il Presidente del Cosib, Antonio Del Torto, oggetto anche di un’inchiesta giornalistica realizzata da me e da Monica Vignale,  su Primonumero.it, proprio riguardo il traffico di rifiuti. Lecito o illecito sarà la magistratura a scoprirlo.
Il punto chiave dell’Operazione Open Gates è lo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi a discapito della salute dei cittadini molisani: vogliamo chiarire meglio questo aspetto?
Volendo usare un gioco di parole, il protagonista di Open Gates è il rifiuto dei rifiuti, il percolato da discarica, l’acqua di decantazione che produce i fanghi. L’operazione si concentra proprio sullo smaltimento di questi fanghi. Una volta depurato, il percolato lascia dei fanghi da risulta. Questi fanghi, per essere sparsi sui terreni nel rispetto della legge italiana, per diventare fertilizzante quindi, devono avere delle caratteristiche che i fanghi di depurazione industriale non hanno. Non solo. I percolati che arrivano in basso Molise provengono dalle discariche malfamate della Campania, della Puglia, dell’ Abruzzo, del Lazio. Ad esempio arrivano i percolati da Colleferro, una delle discariche più grandi d’Europa, costantemente sotto controllo da parte delle autorità giudiziarie. La Inside Srl, società che fa capo ad Antonio Del Torto - contemporaneamente Presidente del Cosib - pensava di smaltire questi fanghi su duecento ettari di terreni compresi tra Larino e Guglionesi, terreni coltivati i cui ortaggi sono poi finiti sulle tavole dei cittadini molisani. Per questo parliamo di preoccupazione per la salute dei cittadini.
C’è stata anche la complicità dei contadini nel dare quei terreni alla Inside Srl?
C’è stata la complicità di un agricoltore, se così vogliamo chiamarlo, un certo Cipolletti Antonio, che è uno dei più grandi agricoltori della zona e che ha a disposizione questi duecento ettari di terra. Il problema è che questo Cipolletti era sempre in combutta con il presidente del nucleo industriale di Termoli.
Possiamo dire che, mediaticamente, l’affaire- Cosib inizia con la tua inchiesta sugli smaltimenti illeciti nel depuratore del consorzio industriale di Termoli, in cui si parlava di possibili infiltrazioni camorristiche.
Attualmente, dopo l’usura e il traffico di droga, il business più redditizio per le organizzazioni criminali è il traffico di rifiuti. Ed è un settore in cui, per quanto tu voglia essere onesto e corretto, comunque ti trovi a fare i conti con realtà poco chiare. Con ogni probabilità c’è un filo conduttore che lega alcune società ed alcune aziende del bassomolise ad ambienti poco legittimi del casertano e del campano. Per esempio, e questi sono fatti accaduti all’inizio di novembre, dai registri di scarico del nucleo industriale abbiamo rilevato la presenza della discarica di Masseria del Re (Giugliano, ndr), finita all’onore delle cronache perché su 60 ettari di grandezza, 20 erano di Francesco Schiavone detto Sandokan.
Dopo la maretta iniziale scatenata dalle inchieste, c’è stata la boutade di Del Torto: “Bevo l’acqua del depuratore e vi dimostro che è cristallina.”
In sostanza hanno chiuso le acque di depurazione e fatto scorrere per tre giorni acqua industriale, che seppur non potabile al massimo crea dissenteria. Sinceramente non credo che Del Torto abbia avuto il coraggio di bere quell’acqua.  È stata un’operazione mediatica, che ha fatto molto rumore, anche se nessuno gli ha creduto più di tanto, i commenti sono stati molto sarcastici.
Tu hai scritto che “Antonio Del Torto è militante di Comunione e Liberazione” e, se non sbaglio, si è parlato anche del coinvolgimento della Compagnia delle Opere: in che modo la militanza ciellina ha favorito certi affari?
L’ingegnere Del Torto non solo è un militante di spicco di CL ma è imparentato con Roberto Formigoni, presidente della Lombardia, nonchè uno dei massimi esponenti di Comunione Liberazione. Il problema di fondo nasce quando il braccio economico di CL – vale a dire la Compagnia delle Opere - inizia ad avere alcuni interessi sul territorio. C’è una sorta di affiliazione alla CdO: ad oggi una ventina di aziende di Termoli ne fanno parte. Questo crea una rete chiusa di rapporti economici. Se noi non avessimo avuto le confidenze di uno che ne sapeva , questa storia non sarebbe uscita, perché chi ne fa parte ha come consegna il silenzio. Perché mettere Dio e la religione davanti? Avere entrature importanti nelle gerarchie della chiesa ed entrare nelle grazie di un vescovo o di un monsignore rende  intoccabili. Attualmente, nel basso Molise, la maggior parte delle assunzioni, dei corsi di formazione e  molti contributi comunitari passano per la Comunione Liberazione. Questo significa avere tra le mani una grossa fetta dell’economia e, quindi, un grosso potere.
Sempre di Del Torto, hai scritto che è vicino a Michele Iorio: che significa
Partiamo da un presupposto molto semplice: chi gestisce il potere in Molise si chiama Michele Iorio, il manovratore di questa regione. Del Torto è diventato Commissario del Cosib nel 2005 grazie ad un intervento di Formigoni. Era il periodo in cui Molise e Lombardia si spalleggiavano nel braccio di ferro  con il governo centrale per l’assegnazione di fondi. Lì si è rafforzata l’amicizia tra Iorio e Formigoni e guarda caso, dopo appena 8 mesi di questi continui incontri, Del Torto diventa presidente del Cosib, contro ogni previsione.
Se il “deus ex machina” politico nel bassomolise è Gianfranco Vitagliano, si può ipotizzare un suo coinvolgimento nei rapporti tra Del Torto e Iorio?
Vitagliano è il luogotenente di Michele Iorio in quell’area. Molti sindaci fanno riferimento a lui, che è uno dei padrini dell’operazione che ha stravolto i vertici della dirigenza del Nucleo Industriale di Termoli. Ma dalle carte non risulta nessun coinvolgimento diretto né indiretto. In termini politici Gianfranco Vitagliano vale tantissimo in bassomolise: ha avuto un ruolo fondamentale nell’elezione di Di Brino, suo uomo di fiducia; due sindaci che compongono il consiglio di amministrazione del Cosib fanno riferimento diretto a lui. Insomma c’è questo trait d’union tra Del Torto, Vitagliano e Iorio che determina strane situazioni nei rapporti politici, sociali ed economici del bassomolise.
Dio salvi la Procura di Larino e, soprattutto, Dio salvi il soldato Mignogna.
La procura ha trovato grosse difficoltà nel reperire quelle carte che dovrebbero essere pubbliche e che – soprattutto – io, tu, il contadino del basso Molise così come l’artigiano dell’alto Molise dovrebbero avere pieno diritto a vedere. Nell’attimo in cui la stampa rende pubblici documenti, delibere, determine dei funzionari etc, vengono fuori quelle che qualcuno chiama scoop ma che sono state decise e scritte dalla politica centrale e che piovono sulla testa dei cittadini. Di colpo il giornalista che denuncia il traffico di rifiuti nel basso molise - accertato anche dalla magistratura - diventa un pazzo, un frustrato, uno che dovrebbe starsene a casa sua. Questo cose vengono seguite anche da minacce personali più o meno velate, da messaggi sui telefonini, da attenzioni particolari ai mezzi di locomozione che il giornalista utilizza. Non bisogna parlare e se parli devi stare attento perchè certe situazioni non si verificano solo nelle terre calde ma anche in Molise. E questo fa arrabbiare, perché noi cerchiamo di fare il nostro lavoro in mezzo a tante difficoltà, vogliamo rimanere in Molise e vogliamo che torni ad essere una terra incontaminata. Per fare questo vanno denunciati e isolati questi soggetti che si permettono di inquinare il territorio.
Ci sono alcuni episodi chiave che fanno capire quanto, anche nel bassomolise, le infiltrazioni camorristiche siano radicate da tempo:




  • 1999 - La Polizia di Stato di Campobasso disarticola un'associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro dei Casalesi, attraverso alcune ditte di calcestruzzi molisane;


  • 2000 – I Carabinieri di Termoli arrestano il latitante Bidognetti Aniello, figlio di Bidognetti Francesco, detto "Cicciott' ‘e mezzanotte", ex capo dei capi dei Casalesi;


  • 2004 – Operazione Mosca: “I trafficanti avevano scelto il litorale molisano – nel tratto da Termoli a Campomarino -  per smaltire abusivamente rifiuti speciali e pericolosi provenienti da diverse aziende del nord Italia.”


  • 2007 – Petacciato – Terreni molisani fra i beni sequestrati al clan dei casalesi



Riciclano, vengono sul posto per valutare nuovi investimenti e comprano terreni per smaltire illegalmente rifiuti. E pensare che c’è ancora chi parla di rischio infiltrazioni.
Continuare a parlare di “rischio infiltrazioni” è come raccontarsi barzellette tra amici. Ci sono situazioni che fanno pensare che una parte della malavita, e mi riferisco alla camorra e alla sacra corona unita, abbia forti interessi radicati nel bassomolise. Proviamo a fare alcuni esempi: io abito a Larino, un paese di 7000 abitanti, che ha qualcosa come 8 sportelli bancari e3 finanziarie, nonostante una disoccupazione inimmaginabile. Lavora un giovane su due e molti vanno via. Se non abbiamo la capacità di produrre reddito a cosa servono tutte queste banche? A Termoli la situazione è pressoché identica se non peggiore. Altro fattore sospetto è la presenza massiccia di centri commerciali: in Molise siamo 300mila abitanti e tra Campobasso e Termoli ce ne sono una quindicina. E poi, un ultimo aspetto: i tribunali di Campobasso e Larino stanno vendendo all’asta – per problemi legati alla crisi economica – case, terreni, attività commerciali, capannoni che finiscono in mano a personaggi non sempre individuabili, perché utilizzano prestanomi e manovre particolari per appropriarsi di questi beni. Questo è il problema fondamentale. Parlare di rischio infiltrazioni sia fuori luogo.
Proviamo a fare un riflessione di sistema: il presidente della regione è pluri-indagato, alcuni consiglieri regionali sono o indagati o sotto processo, più di qualche dirigente è stato indagato, arrestato, processato e condannato. A livello provinciale e/o comunale non è che le cose vadano tanto meglio. Chi dovrebbe controllare se ne fotte e preferisce girarsi dall’altra parte. Sembra un sistema para-massonico in cui persino l’opposizione, a parte uno sparuto donchisciotte, partecipa al gioco delle parti.
Gruppi occulti di personaggi, che poi tanto occulti non sono perché li abbiamo appena citati, mettono in piedi delle realtà consociative che si occupano di fare affari. Io sarei curioso di controllare tutte le varie società presenti in Molise per vedere quali sono le quote controllate direttamente o indirettamente dai politici. Credo che bisogna cambiare il concetto di mafia, che non si presenta più con la coppola e il fucile a canne mozze ma, sempre più spesso, con la giacca e la cravatta. È una mafia economica, una mafia di potere. Il Molise è governato da 20 anni dalle stesse persone, che se non sono al governo sono all’opposizione o  nei consigli di amministrazione: questa commistione all’interno del sistema politico è esagerata. Ogni consigliere ha un parente, un amico, un fratello, che lavora direttamente o indirettamente con la regione. E questo significa drogare l’economia, tal quale come fanno le organizzazioni mafiose. I cittadini devono riconquistare gli spazi sociali, riconquistare la politica, dire basta a questi signori. Non è possibile continuare su questa strada, anche perché in Molise succedono le stesse cose che succedono in altri luoghi.  E credo che la maggior parte dei molisani sia d’accordo.
Chiudiamo con una precisazione a cui tengo molto. Qualcuno ha messo in giro la voce che tu avresti le foto dei Caturano che escono dal Cosib, che non le avresti consegnate ai magistrati nonostante la loro richiesta,  che te le tieni strette vicino al comodino. Visto che sono voci molto pericolose nonché infondate, vogliamo smentirle?
E ti pare che se avessi avuto le foto dei Caturano che entrano al depuratore non le avrei pubblicate e consegnate al magistrato? Io credo che ci sia in giro un pezzo dell’informazione che debba difendere ad ogni costo il potere. Bisogna stare molto attenti su queste cose, ma questo rientra in quella macchina del fango di cui dicevamo prima.


 



oggi a Larino siamo stati insieme a Michele




domenica, giugno 26, 2011


La carne clonata fa paura a 3 italiani su 4



Tema scottante quello della carne clonata. Come ben sapete, da decenni il progresso scientifico permette di duplicare il DNA di animali “naturali” al fine di procrearne di nuovi in laboratorio. Ma la carne degli animali di quest’ultima categoria ha delle differenze, sia dal punto di vista morfologico che (forse) nutrizionale. E gli italiani, da sempre ancorati alla tradizione e alla qualità (specialmente a tavola!) sono molto spaventati e temono di trovarsi nel piatto della carne clonata.



Tre italiani su quattro sono quindi molto scettici, se non impauriti, di questo continua rincorsa alla clonazione da parte della scienza. Sergio Marini, Presidente di Coldiretti, sostiene che “E’ bene tenere in mente che sulle applicazioni scientifiche che potenzialmente possono arrecare danni planetari, irreversibili e irrisolvibili, come le manipolazioni genetiche degli alimenti, i cittadini hanno il diritto e il dovere di poter decidere se e come ciò che la scienza propone debba essere applicato“. Anche voi la pensate in questo modo sui derivati provenienti da animali clonati?


fonte: ecoo.it


sabato, giugno 25, 2011

AMBIENTE, 90% DEGLI EUROPEI SI DICE PREOCCUPATO


Oltre il 90 per cento degli europei si dice fortemente preoccupato per l’ambiente. Lo rivela una recentissima indagine condotta dalla Commissione europea, secondo cui un’ampia maggioranza di cittadini è d’accordo nel ritenere che un uso più efficiente delle risorse naturali e la protezione dell’ambiente possano favorire la crescita nell’Ue. La relazione contiene un invito pressante per un intervento dell’Unione: quasi 9 cittadini su 10 ritengono infatti che, nonostante la crisi economica, l’Unione europea debba stanziare fondi per finanziare attività a favore dell’ambiente. È notevole anche il sostegno a favore dell’attività legislativa a livello dell’Unione: più di 8 cittadini su 10 ritengono che per proteggere l’ambiente nel loro paese sia necessaria una normativa a livello dell’Unione. “Molte tendenze indicano che gli europei sono oggi più che mai impegnati a difesa dell’ambiente – ha commentato il commissario Ue per l’Ambiente Janez Potocnik -. E parliamo di fatti e non solo di buone intenzioni: due europei su tre dichiarano di aver fatto una raccolta selettiva dei rifiuti nell’ultimo mese, più della metà si sforza di ridurre il proprio consumo di energia, 4 su 10 cercano di usare meno prodotti usa e getta e un numero crescente di cittadini si sta convertendo a forme di trasporto più ecologiche. Questi risultati sono una conferma importante della validità del progetto europeo e dimostrano un sostegno inequivocabile a favore dell’attività legislativa dell’Unione in questo campo”.



L’indagine evidenzia, in particolare, una crescente presa di coscienza delle pressioni esercitate sulle risorse naturali. Interrogati sulle possibili soluzioni, 8 intervistati su 10 propongono che le imprese usino in maniera più efficiente le risorse naturali, più di 7 su 10 auspicano un maggiore impegno dei governi nazionali e quasi 7 su 10 pensano che i cittadini stessi dovrebbero fare di più. Invitati a indicare i primi cinque problemi ambientali più urgenti, più di 3 europei su 10 si dichiarano preoccupati per l’esaurimento delle risorse naturali (dal 26 per cento del 2007 si è saliti nell’ultima indagine al 33 per cento), il 41 per cento indica l’inquinamento dell’acqua, il 33 per cento l’aumento dei rifiuti (dal 24 per cento) e il 19 per cento i consumi (dall’11 per cento). Rimane invece bassa la preoccupazione per la perdita di biodiversità (solo il 22 per cento pensa alla perdita di specie e habitat). Tra le proposte di intervento, nonostante la crisi economica, l’89 per cento degli europei ritiene che l’Ue debba stanziare più fondi a favore della tutela dell’ambiente. Secondo l’81 per cento una legislazione dell’Unione orientata alla protezione dell’ambiente è uno strumento necessario per la tutela ambientale. Quasi il 60 per cento ritiene inoltre che l’adozione di procedure di aggiudicazione degli appalti orientate a criteri ambientali rappresenti il modo più efficace di affrontare i problemi ambientali e meno del 30 per cento è a favore di soluzioni basate esclusivamente su considerazioni di efficienza dei costi. Infine, gli intervistati sono decisamente a favore di interventi e di un sostegno finanziario anche oltre i confini dell’Unione: il 79 per cento ritiene infatti che l’Ue debba aiutare finanziariamente i paesi terzi a proteggere l’ambiente.


fonte: agvnews.it



venerdì, giugno 24, 2011


Oceani depredati dalla pesca: ecosistema al collasso



Ieri è stato reso noto il rapporto The Implementation of UNGA Resolutions 61/105 and 64/72 in the Management of Deep-Sea Fisheries on the High Seas da dove emerge chiaramente che la situazione di impoverimento ittico degli Oceani è molto più grave del previsto, tanto che per molte specie si paventa l’estinzione. Ecoblog lo anticipava qualche giorno fa.



Il lavoro è stato redatto da un gruppo di scienziati internazionali per volere dell’Ipso e guidati da Alex Rogers direttore scientifico e Senior Research Fellow all’ Institute of Zoology di Londra. Il rapporto descrive le gravi carenze nell’attuazione delle risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU progettate per proteggere le profondità oceaniche dall’impatto distruttivo della pesca. Secondo il Dott. Rogers: Per la maggior parte del pescato vi è poca o nessuna informazione sullo stato degli stock e in molti casi noi non sappiamo nemmeno cosa viene catturato e dove.



IPSO sta attualmente compilando un rapporto sullo stato globale di salute degli oceani che sarà pubblicato nel 2012. Ma dalle prime analisi, fa sapere Rogers, già si evince che la salute degli oceani versa in uno stato critico e spiega:
Ci riguarda tutti, perché – proprio come il clima – l’Oceano costituisce uno dei sistemi operativi chiave del nostro pianeta. Crea più della metà del nostro ossigeno, sistemi meteorologici e modula l’atmosfera, oltre a fornirci risorse vitali. Tutti i fattori di stress che abbiamo messo in – dalla pesca eccessiva all’inquinamento – hanno contribuito alla sua cattiva salute. La situazione è ormai così grave che si sta alterando la chimica dell’Oceano, con un forte impatto sulla vita marina e il funzionamento degli ecosistemi marini. L’oceano ha già assorbito oltre l’80% del calore aggiunto al sistema climatico e circa il 33% dell’anidride carbonica. Gli ecosistemi sono al collasso, le specie sono spinte verso l’estinzione a causa della distruzione degli habitat naturali. Gli scienziati ritengono che ci sia ancora tempo per evitare cambiamenti irreversibili e catastrofici per i nostri ecosistemi marini, ma che questo richiede un’azione drastica entro un decennio.
fonte: ecoblog.it


 



giovedì, giugno 23, 2011


Allarme temperature, estati irreversibilmente più calde



Le estati ai tropici e in buona parte dell’emisfero settentrionale potrebbero andare incontro a causa dell’inquinamento a un innalzamento permanente e irreversibile delle temperature entro un periodo variabile tra i 20 e i 60 anni: più a rischio Africa, Asia e SudAmerica, ma non sono fuori pericolo nemmeno Europa, Nord America e Cina.



A dare la notizia è uno studio in via di pubblicazione sulla rivista Climatic Change, condotto da Noah Diffenbaugh della Stanford University (Usa).



Per giungere a questa previsione i ricercatori hanno preso in esame più di 50 modelli climatici: “Abbiamo analizzato i dati storici forniti dalle stazioni meteorologiche di tutto il mondo per vedere se questa emergenza fosse già in atto e abbiamo verificato, gettando uno sguardo al passato, che l’allarme è già cominciato”, sostiene Diffenbaugh, che ha posto l’accento sul grave rischio rappresentato dal riscaldamento del nostro pianeta sulla salute umana, la produzione agricola e gli ecosistemi.
fonte: 100ambiente.it


 



mercoledì, giugno 22, 2011


 Il batterio killer in un ruscello comporta rischi da contaminazione dell’acqua potabile?


 
 Il batterio killer è stato trovato anche in un ruscello. Tutto ciò comporta dei rischi da contaminazione dell’acqua potabile? Gli esperti rassicurano: non ci dovrebbe essere alcun pericolo. Il tutto è accaduto dopo che nella parte nordorientale di Francoforte è stato rintracciato un tipo di batterio di Escherichia coli, che ha indotto le autorità ad esortare i cittadini a non effettuare il bagno nelle acque del ruscello e in altri fiumi. È scattata quindi la paura delle eventuali conseguenze sulla rete che si occupa della distribuzione dell’acqua potabile nella regione.


Secondo la Coldiretti il batterio killer ha già messo in crisi il settore agroalimentare. Ipotizzare dei pericoli connessi anche alla contaminazione dell’acqua potabile vorrebbe dire accentuare le conseguenze di una psicosi già diffusa. C’è anche chi ha ipotizzato che il batterio killer potrebbe essere un atto di bioterrorismo. In ogni caso gli esperti hanno chiarito che non ci possono essere conseguenze sull’acqua potabile.

 I risultati delle analisi sui campioni d’acqua che sono stati per prelevati dal ruscello hanno messo in evidenza che probabilmente il batterio killer è arrivato nel ruscello attraverso gli impianti di depurazione. L’unica accortezza è da riservare alle aziende agricole, che dovrebbero evitare di irrigare le coltivazioni con l’acqua prelevata dal fiumiciattolo. Le autorità hanno badato anche ad evitare che vengano messi sul commercio i prodotti agricoli che già sono stati innaffiati con le acque contaminate dall’Escherichia coli.

A causa del batterio killer i consumi di frutta e verdura sono in calo e si vuole evitare assolutamente di peggiorare la situazione che già è difficile da affrontare, se consideriamo i numerosi danni economici riportati dall’agricoltura.
fonte: ecoo.it


 



domenica, giugno 19, 2011


Prezzo del Cibo: l’aumento dei prezzi cambia (in peggio) la nostra dieta
 



Un sondaggio commissionato da Oxfam e che coinvolto oltre 16 mila persone in tutto il mondo rivela come l’aumento dei prezzi del cibo stia cambiando velocemente la nostra dieta e lo sta facendo in peggio. Nella rilevazione non c’è il nostro paese, ma sono comunque 17 le nazioni coinvolte ed alcune sono nazioni industrializzate ed europee il che permette una comparabilità sulla carta con la situazione italiana.



In Germania le persone che dichiarano di aver “non mangiare più lo stesso cibo che mangiavano due anni fa” sono il 37%, in Spagna e nel Regno Unito addirittura il 46%. Fra questi soltanto un terzo sostiene di averlo fatto per il proprio benessere, cercando cioè prodotti provenienti da agricoltura biologica, più sani o magari legati alla filosofia del Km zero. I restanti due terzi ammettono di aver modificato le proprie scelte alimentari per via dell’aumento dei prezzi causato sia dalle speculazioni sui mercati sia dai cambiamenti climatici. Francesco Petrelli, presidente di Oxfam Italia, ha dichiarato:
I leader mondiali devono agire ora per rifondare questo sistema alimentare al collasso, regolando i mercati delle materie prime e facendo marcia indietro sui biocarburanti per tenere sotto controllo i prezzi. L’Italia, uno dei paesi più rilevanti nel sistema alimentare globale, conosciuto per l’eccellenza dei suoi prodotti, ha la responsabilità di dare il suo contributo attivo. Il nostro paese, sede delle agenzie internazionali specializzate in cibo e agricoltura, ha un ruolo cruciale nel favorire gli investimenti sui piccoli agricoltori dei paesi in via di sviluppo e aiutarli ad adattarsi ai cambiamenti climatici.


fonte: ecoblog.it



 

sabato, giugno 18, 2011


Spiagge Ue. Al top c’è Cipro



Ancora promosse, ma con fatica crescente. In 9 spiagge europee su 10 ci si può tuffare con tranquillità. L’altra è un’incognita: in alcuni casi il livello di inquinamento è troppo alto, più spesso i campionamenti non sono stati effettuati in modo corretto. Inoltre se si applicassero i nuovi e più rigorosi parametri di prelievo dei campioni di acqua marina, previsti come obbligatori a partire dal 2012, le aree a rischio diventerebbero una su tre.



E’ quanto emerge dal rapporto annuale sulla balneabilità curato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente. Un quadro particolarmente allarmante per l’Italia: mentre l’Unione Europea sta facendo diventare sempre più serrati i controlli, l’Italia – che per un lungo periodo è stata in testa alla classifica dell’attenzione – si distrae. Negli ultimi anni il nostro rapporto sulla balneazione (con il dettaglio Comune per Comune) è stato reso noto quando ormai in molti avevano già finito le vacanze. E l’Agenzia europea ora ci avverte che, applicando le nuove regole, “il 61,8 per cento delle spiagge italiane risulta insufficientemente campionato”. L’aver messo la difesa dell’ambiente in secondo piano rischia dunque di costarci caro anche in termini turistici, accelerando la progressiva perdita di quote del mercato che stiamo subendo.



In cima alla classifica europea dei tuffi garantiti troviamo Cipro (100% delle spiagge in regola), la Croazia (97,3 %), Malta (95,4 %), la Grecia (94,2 %), l’Irlanda (90,1%). L’Italia figura al sedicesimo posto (poco più di 4 spiagge su 5 sono al livello di sicurezza e 3 su 4 arrivano ai valori guida). Complessivamente il 92,1 % delle coste marine e il 90,2 % di quelle dei laghi e dei fiumi raggiungono gli standard minimi richiesti. L’1,2 % delle coste marine e il 2,8 % di quelle interne sono inquinati. Il resto risulta non disponibile alla balneazione o non controllato.



La sicurezza delle spiagge europee “rimane alta, ma c’è spazio per un miglioramento”, ha commentato il commissario europeo all’Ambiente Janez Potocnick. “L’acqua pulita è una risorsa senza prezzo e non dobbiamo darla per garantita. Bisogna incoraggiare gli Stati a trasformare il leggero declino che abbiamo misurato quest’anno in un trend di miglioramento”.
Anche perché – come ha spiegato Jacqueline McGlade, la docente di biologia che dirige l’Agenzia europea dell’ambiente – il cambiamento climatico inciderà sul ciclo idrico creando una pressione che occorrerà governare con attenzione tornando al trend di miglioramento dei controlli sulla balneabilità che ha caratterizzato gli anni Novanta e che ora sta subendo una battuta d’arresto.
Una tendenza al peggioramento che risulta confermata analizzando non i parametri minimi richiesti per la balneazione ma i valori guida, quelli che meglio indicano l’effettivo stato delle acque. “La qualità delle acque di balneazione si è deteriorata tra il 2009 e il 2010: il numero delle spiagge che raggiungono i valori guida è diminuito del 9,5 per cento”, precisa il rapporto, aggiungendo che per le acque interne la percentuale sale a quota 10,2. Complessivamente solo il 79,5 % delle spiagge raggiunge la qualità prevista dai valori guida, mentre nel 2003 era l’89 %.
fonte: repubblica.it


 



venerdì, giugno 17, 2011


Boom meduse, a rischio catena alimentare oceani


 


Le meduse non sono solo l’incubo dei bagnanti, ma possono esserlo anche dell’ecosistema oceanico. Lo ha scoperto uno studio pubblicato dalla rivista Pnas, secondo cui questi animali possono letteralmente distruggere la catena alimentare.
La ricerca del Virginia Institute of Marine Science ha esaminato le meduse sia nel loro habitat naturale, in questo caso la baia di Chesapeake nella costa est degli Usa, sia in test di laboratorio per capire la loro interazione con i batteri che popolano le acque: “Le meduse sono voraci predatori – spiega Rob Condon, uno degli autori – e colpiscono la catena alimentare sottraendo plankton che sarebbe altrimenti mangiato dai pesci e trasformandolo in una biomassa gelatinosa che non è consumata dai predatori con altrettanta facilità”.
Oltre ad ‘affamare’ chi sta loro sopra nella catena, le meduse influiscono anche sui batteri che stanno sotto, e che degradano le carcasse ‘riciclando’ gli elementi chimici, primo fra tutti il carbonio: “I batteri preferiscono utilizzare il carbonio delle meduse per la respirazione invece che per la crescita – spiega l’esperto – e quindi producono CO2 che va nell’oceano invece che assorbirla. Questo è dovuto al maggiore rapporto fra carbonio e azoto nelle meduse rispetto agli altri animali marini”. Dato l’aumento costante delle popolazioni di meduse negli ultimi anni, il fenomeno, conclude l’articolo, “potrebbe riflettersi in un aumento dell’acidità degli oceani, che ha ulteriori effetti negativi sull’ecosistema e sugli animali”.

 


fonte: ansa.it/ambiente



mercoledì, giugno 15, 2011

ERA NUCLEARE...........adesso non lo è più


Quella del referendum è una grande vittoria di tutta l’Italia. Una vittoria molto più grande di quello che il pur lusinghiero dato referendario riesce a rappresentare. Davide ha sconfitto di nuovo Golia, le nostre fionde hanno vinto sui cannoni mediatici: mentre lo spot del Forum Nucleare costato 9 milioni di euro è stato condannato per pubblicità ingannevole, i volantini autoprodotti da migliaia di volontari hanno convinto molto più.

Non sono bastati gli sgambetti, i trucchi parlamentari, le date sbagliate date da TG1 e TG2, l’invito del meteo RAI a “organizzare una giornata al mare” domenica 12 giugno. Non sono bastati i disperati tentativi del governo di far saltare il referendum attraverso improbabili ricorsi. E non sono bastati neanche i tentativi di strumentalizzazione del voto popolare fatto nelle ultime settimane da troppi politici, e dopo molti sostanziali ripensamenti. Il popolo libero, che voleva fermare il nucleare e mantenere l’acqua pubblica, ha saputo guardare oltre senza cascare in nessun tranello. Questo è forse il dato più confortante dell’intera campagna referendaria., che è stata una vera e propria corsa a ostacoli, ma alla fine siamo arrivati al traguardo con le braccia al cielo in segno di vittoria.



Con il voto di domenica e lunedì, tutti gli Italiani, indistintamente di destra, di centro e di sinistra hanno dimostrato di saper pensare con la propria testa. E scegliere per il bene dell’Italia a prescindere dagli ordini impartiti dalle segreterie dei partiti. Di tutti i partiti.


Da oggi l’Italia è un paese migliore.
Grazie a quanti hanno contribuito, anche solo diffondendo un solo volantino, affinchè si raggiungesse questo grandioso risultato.
www.fareverdecampobasso.blogspot.com
FARE VERDE Campobasso




 

martedì, giugno 14, 2011


Referendum 2011: i risultati su nucleare e acqua
 



Per quanto riguarda il referendum 2011 i risultati sul nucleare e sull’acqua hanno segnato la netta vittoria del sì. Non si è trattato di un successo che ha interessato soltanto il raggiungimento del quorum, ma anche di una scelta ecoresponsabile a favore del ridotto impatto ambientale. Gli Italiani hanno scelto di non servirsi dell’energia prodotta attraverso il ricorso al nucleare, anche a patto di non riuscire a contare su una completa autonomia energetica dagli altri Paesi. Inoltre hanno deciso di optare per l’acqua considerata come un bene pubblico.



Le previsioni sul referendum 2011 avevano già illustrato la tendenza verso il raggiungimento del quorum. I risultati adesso hanno confermato tutto, segnando una tappa importante nella storia dei referendum, nell’ambito dei quali non sempre è stato facile raggiungere la partecipazione del 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Adesso che sono stati resi noti i risultati, sembra incredibile l’ipotesi di non dare la possibilità ai nostri connazionali di esprimersi su questioni oggetto di particolare interesse collettivo, come quella del nucleare in Italia.



La Cassazione ha deciso che il referendum sul nucleare sarebbe stato fatto: una decisione premiata da un riscontro concreto in termini di partecipazione da parte dell’elettorato. Aveva quindi ragione chi, come il WWF, affermava che si sarebbe dovuto votare in tema di referendum sul nucleare? E il referendum sull’acqua ha coinvolto tanto l’opinione pubblica?
I numeri relativi ai risultati del referendum 2011 non lasciano spazio a dubbi (i dati sono aggiornati alle 21 di lunedì 13 giugno): affluenza pari al 56,7% per tutti e tre i quesiti; per il primo quesito sull’acqua i sì sono il 95,7% e i no 4,3%; per il secondo quesito sull’acqua si tratta del 96,2% per il sì e del 3,8% per il no; per il quesito sul nucleare si ha una percentuale del 94,6% (sì) e del 5,4% (no).
fonte: ecoo.it


 



lunedì, giugno 13, 2011


NUCLEARE: VINCE IL POPOLO !! ADDIO ATOMO.


 


Una straordinaria vittoria. La vittoria dei cittadini, dei comitati, delle associazioni, contro lobby, multinazionali ed imperi economici e di potere. Portare ben oltre 25 milioni di italiani alle urne, per scegliere su temi di importanza vitale quali acqua e nucleare, rappresenta un risultato da incorniciare se si considera che gran parte della campagna referendaria è stata sostenuta da comitati spontanei, autogestiti ed autofinanziati, senza particolari sponsorizzazioni politiche.
Un risultato straordinario ancor più in considerazione della schiacciante campagna di boicottaggio messa in campo dal governo e dalle forze politiche ad esso vicino. Mai si era verificato che la quasi totalità dei ministri dichiarasse in anticipo e con orgoglio di disertare le urne. Mai si era verificato che gli organi di informazione nazionali ignorassero un così importante appuntamento referendario per mesi, lasciando larghissime fasce di cittadinanza nella più completa disinformazione. Mai si era verificato che  in alternativa ai “SI” si contrapponessero soltanto inviti ad andare al mare. Mai si era verificato che un referendum fosse stato in forse fino a pochi giorni prima a causa di disperati ricorsi e tentativi di farlo invalidare da parte del governo, per paura di perdere miseramente.
 

 



Ma per fortuna l’attivismo, la militanza dei comitati, il passaparola e, soprattutto, la straordinaria mobilitazione via web hanno raggiunto tantissimi italiani, che hanno preferito non disertare le urne, riappropriandosi dell’unico ed ultimo strumento di partecipazione diretta rimasto nelle mani dei cittadini.
Gli italiani hanno saputo mettere da parte le proprie simpatie ed antipatie politiche, con la consapevolezza che scelte di questa portata non possono certo ridursi ad una disputa partitica; un futuro senza nucleare è una scelta di civiltà e di generosità verso i nostri figli, nipoti e future generazioni che va ben oltre l’odierno teatrino della politica.
E così, questo dato nasconde certamente una percentuale più alta di italiani che avrebbero votato se messi nelle normali condizioni di informazione. Per non parlare del risultato schiacciante dei SI che dimostra senza ulteriori dubbi che la stragrande maggioranza degli italiani, come già espresso nell’87 e solo qualche settimana fa in Sardegna, non vuole il nucleare. Ne prenda atto il governo che ha sempre dichiarato che il nucleare lo si sarebbe fatto con il solo consenso dei cittadini. Che evidentemente non esiste.

 


Si posi dunque una lapide definitiva sulla scellerata ipotesi di ritorno all’atomo. Il tentativo di ritardare di qualche mese l’avvio del programma nucleare del governo, maldestramente celato dietro al decreto Omnibus, non è riuscito; gli italiani anziché rinviare, hanno voluto esplicitamente cancellare il pericolo nucleare per sempre.
Da oggi si apre finalmente una fase nuova che spalanca scenari più moderni, più sostenibili e meno rischiosi. L’Italia cominci a perseguire politiche ben più attuali, di efficienza, risparmio energetico e sviluppo delle energie rinnovabili, allo stesso modo di una grande potenza economica ed industriale come la Germania che proprio in questi giorni sta avviando l’abbandono definitivo del nucleare.

 
 COMITATO FERMIAMO IL NUCLEARE MOLISE – 329.43.43.334

sabato, giugno 11, 2011

PROGETTO H2O


Chiuso il progetto H2O con le seconde elementari di petacciato. Le maestre ed i ragazzi hanno voluto sorprendere, piacevolmente, i loro genitori con esperimenti sull'acqua.  La lezione di Pasquale M. evidentemente ha fatto colpo, visti i risultati e l'entusiasmo dei ragazzi.
 



L'acqua un bene prezioso che va difeso e tutelato.

Il Presidente Lucchese ha raccomandato ai genitori di recarsi alle urne il 12 e 13 giugno e votare per un SI deciso. Abbiamo il dovere di tutelare l'acqua e di lasciare un ambiente pulito e senza centrali nucleari ai nostri figli.   
Per un giorno, I NOSTRI RAGAZZI, sono diventati dei PICCOLI CHIMICI.
Intanto, guardate un po come si sono divertiti i nostri ragazzi.














































 

giovedì, giugno 09, 2011

A Fukushima siamo ben oltre la fusione del nocciolo


Nel silenzio della stampa internazionale dal Giappone iniziano di nuovo ad arrivare notizie molto preoccupanti sulla sempre critica situazione dei reattori di Fukushima. Il combustibile nucleare in tre reattori (1, 2 e 3) dell’impianto atomico di Fukushima probabilmente si è sciolto e fuoriuscito attraverso il contenitore a pressione accumulandosi in fondo e all’esterno del contenitore principale. Lo afferma il governo giapponese alla Yomiuri Shimbun. Una tale eventualità, spiegano diverse fonti ufficiali, è di gran lunga peggiore di una fusione del nocciolo ed è la peggiore situazione che possa accadere in un incidente nucleare. Questo quadro è stato sottoposto con un ampio rapporto all’attenzione dell’International Atomic Energy Agency (AIEA) e confermerebbe ormai che la fusione dei noccioli e la rottura dei contenitori dei 3 reattori, da molti esperti ipotizzata da tempo, sia ormai una realtà.



Sapevamo infatti che il contenitore dove sono poste le barre fosse danneggiato e che da qui ci fossero perdite di acqua altamente radioattiva, anche all’esterno degli edifici che ospitano i reattori. Ora, dal rapporto inviato alla AIEA si delinea un quadro molto più drammatico di quanto ammesso fin dalle prime ore dell’incidente avvenuto lo scorso 11 marzo.


Infatti si afferma, secondo le analisi della Nuclear and Industrial Safety Agency nipponica, che già a 5 ore dal terremoto il contenitore a pressione del reattore n.1 di Fukushima Daiichi fosse danneggiato, ovviamente per la mancanza quasi totale di acqua di raffreddamento. La Tepco, la società elettrica che gestisce l’impianto, parla invece di almeno 15 ore dopo, così come una notevole discrepanza tra NISA e Tepco c’è in merito alla rottura del contenitore del reattore n.2 (80 ore dopo contro 109). Ma la sostanza non cambia. Il danno è stato gravissimo fin dal primo giorno e le fonti ufficiali si sono guardate bene dall’informare l’opinione pubblica e forse anche lo stesso governo, presumiamo noi.


Ad aggravare la posizione della Tepco, che esce malissimo da questo rapporto (circa 750 pagine) per la sua gestione della crisi, c’è anche la notizia che l’ammontare delle radiazioni rilasciate dalla centrale di Fukushima nella prima settimana sia stato probabilmente più del doppio di quanto inizialmente la società elettrica avesse stimato e comunicato.
Scarsa anche l’attenzione della Tepco per i circa 7.800 lavoratori che sono stati coinvolti fino alla fine di maggio nel difficile compito di stabilizzare le condizioni dei reattori. Alcuni di questi potrebbero essere stati esposti a dose di radioattività molto superiori ai 250 millisievert per anno, la massima quantità accettabile per la salute secondo i nuovi parametri indicati dal governo dopo il disastro. Sappiamo però che a livello internazionale la dose massima alla quale possono essere esposti i lavoratori di una centrale nucleare è di 20 millisievert, cioè 12 volte meno.
In questa fase il problema più urgente è come trattare l’enorme quantità di acqua altamente radioattiva (100mila tonnellate) usata per abbassare il calore dei reattori che si è accumulata negli edifici, nel seminterrato e nei fossati adiacenti. Un ostacolo che impedisce di riparare i sistemi di raffreddamento. La Tepco spera di mettere in funzione a metà mese un sistema capace di rimuovere le sostanze radioattive dall’acqua per poi procedere al raffreddamento dei reattori. Un’impresa che, detta così, sembra essere complicata, per non dire immane.
fonte: qualenergia.it

mercoledì, giugno 08, 2011


Referendum ambientale a Milano: i cittadini chiamati a decidere per un futuro più sostenibile della città



Se le giornate del 12 e del 13 di Giugno saranno importanti per tutti i cittadini italiani chiamati alle urne per decidere sul referendum, ancor di più lo sarà per i cittadini milanesi, i quali, insieme ai noti quattro quesiti, avranno ulteriori cinque schede per cui votare. Si tratta di un referendum comunale abbastanza particolare (forse primo caso in Italia) nel senso che tutti i quesiti proposti tratteranno soltanto tematiche ambientali; per renderlo valido, quindi raggiungere il quorum, basterà che il 30% degli aventi diritto al voto dei residenti si rechi a votare.



Ovviamente il referendum di Milano non ha nulla a che vedere con quello nazionale (per quanto il voto si svolga nello stesso giorno) per il quale ricordiamolo è necessario invece raggiungere il 50% più uno degli aventi diritto al voto su scala nazionale per validarlo. Queste le questioni che verranno poste soltanto ai cittadini milanesi: la riapertura delle vie d’acqua, la cancellazione definitiva del parcheggio della Darsena, l’obbligo di trasformare con una percentuale minima del 50% in aree verdi tutte le aree soggette a cambio, maggiore severità nei regolamenti edilizi energetici, infine (forse quello più controverso di cui abbiamo parlato recentemente su Ecoblog) l’estensione dell’Ecopass, croce e delizia della città.



Fra i quesiti, come detto, il più spinoso rimane quest’ultimo dove se da un lato è vero che l’esito appare tutt’altro che scontato, dall’altro gli sviluppi potrebbero essere davvero importanti. Qualora infatti i cittadini milanesi si esprimessero in favore dell’allargamento della zona soggetta a pagamento, l’obiettivo della giunta sarebbe quello di investire i nuovi introiti dell’Ecopass per attuare nella città un vero e proprio piano del traffico ecologico incentrato sui mezzi pubblici e sulle biciclette.



La questione è quindi di quelle da seguire con attenzione; infatti se i cittadini si esprimeranno in favore di queste iniziative, la città di Milano potrebbe finalmente compiere quello slancio decisivo verso quella sostenibilità ambientale che altre città del nord Europa hanno da anni intrapreso.



fonte: ecoblog.it

martedì, giugno 07, 2011


Acqua, Italia controcorrente all’estero vince il pubblico



 



Mentre il governo Berlusconi varava la legge che bocciava il gestore pubblico dell’acqua, facendolo finire in serie B e costringendolo per legge a restare in minoranza nelle aziende quotate in Borsa, grandi città, comprese quelle che per decenni avevano sperimentato la gestione privata, decidevano di puntare sul pubblico. Parigi, Berlino, Johannesburg, Buenos Aires, Atlanta, Monaco di Baviera sono tutte guidate da ideologi sprovveduti, teorici estremisti che odiano i capitali privati? Proviamo a vedere cosa sta succedendo in alcune di queste città partendo dal caso meno pubblicizzato, Monaco di Baviera.
La chiave per comprendere la scelta di Monaco è il rapporto tra l’acqua e il territorio. Per la risorsa idrica quello che conta è la qualità dell’ambiente: più si preserva la natura in cui l’acqua scorre, meno è necessario intervenire sugli acquedotti. Nel 1992 Monaco di Baviera ha deciso di acquisire i terreni vicini alla falda e di riservarli alla coltivazione biologica: niente chimica, allevamento controllato. In questo modo è stata vinta la battaglia contro i nitriti che per tre decenni avevano continuato a crescere e l’acqua può arrivare in tavola senza cloro e senza trattamenti chimici.

Analoga la scelta di Parigi che, dopo la decisione di far tornare l’acqua in mano pubblica togliendola alle due multinazionali francesi (Veolia e Suez) che gestivano il servizio da 25 anni, ha preso il controllo dei terreni collegati alla falda idrica e li ha concessi in affitto a canone agevolato o a titolo gratuito agli agricoltori che si sono impegnati a lavorare seguendo gli standard più rispettosi dell’ambiente. Secondo i dati del Comitato per il sì, le perdite di rete registrate in Francia dai due principali gruppi privati del settore vanno dal 17 al 27 %, contro il 3-12 % della gestione pubblica. E l’assessore alla municipalità di Parigi, Anne Le Strat, ritiene che il passaggio da un sistema privato a uno pubblico consentirà di risparmiare 30 milioni di euro l’anno.
“Questo tipo di scelte può essere fatto solo se la gestione dell’acqua è pubblica perché impone investimenti e programmazioni a lunghissimo termine”, ricordano al Comitato per i sì al referendum. “Una società privata non ha interesse a investire per acquistare terreni che poi potranno non servirle più a nulla se alla scadenza il contratto non viene rinnovato. Inoltre avrebbe difficoltà a giustificare agli azionisti un investimento così importante per risolvere un problema che si può affrontare con una spesa molto minore utilizzando il cloro”.
I punti cruciali sono dunque due. Il primo, come abbiamo visto, è lo spazio. Più è vasta l’area ambientalmente sana in cui l’acqua scorre minore è la necessità di un intervento correttivo sulla rete idrica. Il secondo è il fattore tempo. Gli importanti investimenti di cui il settore idrico ha assoluto bisogno per chiudere il cerchio dell’acqua collegando alle fogne quel 30 per cento di scarichi non ancora in regola, richiedono uno sguardo lungo. La manutenzione costa, l’espansione della rete costa. E i ritorni si misurano nell’arco di vari decenni. Spesso troppi per un’azienda privata che è abituata a rendere conto del suo operato in tempi decisamente più brevi e che difficilmente ottiene contratti con una durata di più di 30 anni. A meno che il controllo delle scelte sull’acqua non rimanga saldamente in mano alla mano pubblica.
fonte: repubblica.it


 





 
 

lunedì, giugno 06, 2011

La bonifica atomica della Maddalena che terrorizza la popolazione


Mare cristallino, sabbie bianche, angoli ventosi, sole splendente anche quando nella Penisola in tanti tirano fuori l’ombrello. Sarebbe un paradiso. Per molti non lo è più. “Qui alla Maddalena c’è un rischio serio, quello di aver causato un genocidio”, spiega al Fatto Claudia Zuncheddu, consigliere regionale sardo del gruppo indipendentistas. Lo dice e non pensa di esagerare: lei medico, impegnata in politica, da anni denuncia le tante vessazioni perpetrate sull’isola e i suoi abitanti.
A partire dalla zona dove sorge il Poligono di Quirra: qui il 65% dei pastori è affetto da leucemia, qui sono nati i maialini senza occhi né orecchie, gli agnelli con due teste. E ancora l’area vicino a Cagliari, protagonista la raffineria Saras: “Lì tutte le famiglie sono colpite da casi di cancro, tutte hanno uno o più morti da piangere – continua la Zuncheddu –. Così via, ogni angolo della Sardegna ha la sua causa di grave inquinamento”.
Fino al nord-est, fino al 26 gennaio del 2008, quando, dopo 35 anni, viene ammainata la bandiera stelle e strisce a La Maddalena: gli statunitensi abbandonano la base atomica. Attenzione: a-to-mi-ca. Vuol dire migliaia di tonnellate di rifiuti speciali da rimuovere, quindi soldi, maestranze specializzate, luoghi di stoccaggio e tempo. Soprattutto tempo. Peccato che non ce n’è: il luogo è stato prescelto per ospitare il summit del G8 del 2009, vetrina chiave per il rilancio internazionale del governo italiano. Silvio Berlusconi gongola, fa proclami, parla di rilancio della zona, di occupazione, turismo, e tutto il solito repertorio.
62 mila tonnellate: ci pensa Bertolaso.
Il premier chiama in causa Guido Bertolaso e la Protezione civile: c’è bisogno di loro per raggiungere l’obiettivo nella data prestabilita. C’è bisogno di potere decisionale, pochi vincoli, segreto di Stato. Sul sito dichiarano: rimosse 62 mila tonnellate di rifiuti, il 21% delle quali giudicate pericolose. Tradotto: 49 mila non pericolosi e 13 mila speciali. Tempo di realizzazione: 45 giorni in tutto, tra luglio e agosto, momento di massima invasione turistica della zona, grazie all’impiego di oltre duemila autocarri e tre navi. Cifra investita: 23 milioni di euro.
“Peccato che qualcosa non torna – interviene la Zuncheddu –. Cosa? I rifiuti speciali dovevano essere spediti sul continente, ma nessuno ha visto partire alcuna nave, non esistono i piani di navigazione. In molti si sono accorti del traffico notturno via mare dall’arcipelago a Porto Torres, sede di due discariche, e da Olbia con i camion via terra, ma basta. Tutto si è fermato lì. Il problema è dove, in quale luogo hanno scaricato il materiale e come lo hanno riversato. Parliamo di rifiuti altamente pericolosi, ribadisco: la sede era atomica”. Quindi amianto, idrocarburi e metalli pesanti. Eppure la vicenda è avvolta nel mistero, gli interpellati istituzionali non rispondono a interrogazioni, sollecitazioni o quant’altro.
“È un anno che cerco risposte, non ci sono mai riuscita – prosegue il consigliere regionale –. E come me altre persone che si sono interessate all’accaduto, gente che ha ‘annusato’ l’aria, che ha voluto e vuole capire cosa accade”. Qualcuno la definirebbe la “società civile”. Così ecco un medico di Alghero, Paola Correddu, un ex vicesindaco di Porto Torres, Giancarlo Pinna, fuori dalla politica da quasi trent’anni; il dirigente di un piccolo sindacato indipendentista, Angelo Marras, un avvocato di Sassari, Luigi Azena e un altro di Cagliari, Renato Margelli. Insieme seguono legalmente la vicenda. Insieme si sono messi di traverso, hanno deciso di non stare alla finestra. “Pensi – interviene la Correddu –, abbiamo anche tentato un blitz con Claudia (Zuncheddu): siamo andate alla discarica di Canaglia, dove temiamo hanno scaricato gran parte delle tonnellate.
Cosa è successo? Qualcuno deve aver fatto una soffiata, perché contestualmente ci hanno raggiunto le forze dell’ordine e ci hanno impedito di entrare. Ma a un certo punto uno dei gestori, sotto le nostre domande, è andato in contraddizione e ha quasi ammesso la presenza dei rifiuti. E pensare che sotto c’è una falda acquifera fondamentale per l’isola”. Sotto c’è una riserva da un miliardo di metri cubi di acqua, classificata dallo Stato italiano come punto strategico in caso di calamità. “Ma a questi non interessa niente – conferma Marras –, hanno puntato sulla fame delle persone, sulla disoccupazione per realizzare un disastro. Noi lo sappiamo, ne abbiamo le prove”. Vuol dire un “pentito”: con la certezza dell’anonimato i rappresentanti del “Sindacadu se sa Natzione Sarda” hanno intervistato uno degli ottanta autisti coinvolti nello smaltimento e nel trasporto. Nel filmato ammette: “Quello che caricavamo lo portavamo alle discariche di Canaglia e Scala Erre. Ogni tipo di materiale. Da chi sono stato assunto? Dalla Serfat di Enrico Piras”. Quest’ultimo è il presidente del consiglio provinciale di Sassari, uomo di navigata esperienza politica.
70 mila metri cubidragati in 14 mesi:
“Le istituzioni non hanno mai risposto alle nostre domande, formali e informali – sorride la Zuncheddu –, solo quella di Sassari-Olbia ci ha fornito dei dati”. Ed è stata necessaria un’istanza di accesso ambientale, che per legge prevede una risposta entro trenta giorni. “Da loro sono arrivati numeri – conferma la Correddu – che ci allarmano ulteriormente: parlano di 40 mila tonnellate totali, di queste il 20% è classificato come pericoloso. Insomma, cifre differenti rispetto a quelle della Protezione civile. Perché? Chi dice il vero? E non è finita: c’è anche la questione legata alla bonifica dei fondali”. In questo caso parliamo di un’area marina di circa 17 ettari per un bilancio di 70 mila metri cubi di sedimenti dragati tra l’ottobre del 2008 e il maggio 2009. Anche qui dubbi, denunce, segnalazioni, inchieste a partire da quelle di Fabrizio Gatti per l’Espresso.
Fino a ieri, quando la Procura della Repubblica di Tempio Pausania ha disposto il sequestro probatorio dei fondali antistanti l’ex Arsenale della Marina Militare de La Maddalena. Una decisione presa dopo il rapporto dei sommozzatori del nucleo dei Carabinieri, su incarico della Corte dei Conti di Roma, che indaga sui 31 milioni di euro spesi per le bonifiche. Solo in teoria, a quanto pare. “Il problema è uno: la vicenda è talmente grande che, temo, difficilmente avremo un colpevole – ammette laconico Giancarlo Pinna –. Questo territorio è martoriato, da tumori e disoccupazione. Pensi, a Porto Torres su ventimila abitanti, cinquemila sono disoccupati. Eppure avremmo tutto a disposizione per stare bene: sole, vento, mare, risorse, cultura e possibilità di sviluppare il turismo”. Al contrario è una delle zone più inquinate e martoriate d’Europa.
fonte: ilfattoquotidiano.it